Non sapevo o non ricordavo che il senatore Marcello Dell'Utri è addirittura stato condannato a 9 anni di carcere!!!! (in primo grado e ora anche in appello, per concorso esterno in associazione mafiosa, questo sì che me lo ricordavo...).
Dal blog di Antonio Di Pietro, post di oggi:
Ho voluto avviare l'iniziativa "Li seguiamo per te" per poter informare e tenere aggiornati i cittadini riguardo a tutti quei processi sui quali altrimenti sarebbe calata la spessa cortina del silenzio mediatico. Ho iniziato con il processo al governatore della Campania, Antonio Bassolino, al quale si sono aggiunti quello al corrotto David Mills e al suo - in assenza di lodo - corruttore Silvio Berlusconi. Ora ne aggiungo un terzo: il processo d'appello a Marcello Dell'Utri ripreso il 15 maggio 2009. Quello a Dell'Utri e' un processo capace di spiegare, se non ha gia' spiegato con la condanna in primo grado, larga parte della genesi di Forza Italia, oggi Pdl, e dell'ascesa nel panorama nazionale di un corruttore oggi Presidente del Consiglio.
Processi come questi non ne vedremo più: la legge sulle intercettazioni ed il bavaglio all’informazione, che questa legge comporta, hanno messo la parola fine alla possibilità di risalire a qualsiasi reato, se non per circostanze fortuite. I media non ne parlavano già prima, ora avranno persino un buon motivo per continuare a non farlo. In aula a Palermo venerdì scorso, durante la seconda udienza d’appello, tolti i giudici, c’erano solo tre cittadini in aula, uno di questi era il nostro inviato. Da oggi con questo video qualche migliaia di cittadini in più verrà a conoscenza di questo processo, che già entro l’estate potrebbe portare ad una sentenza definitiva.
Riporto di seguito il testo del video e la parte finale della sentenza a carico del senatore Marcello Dell’Utri così come la si legge nelle 1771 pagine di documenti ufficiali del processo di primo grado risalente all’11 dicembre 2004. Una condanna che lascia ben pochi dubbi sulla gravità dei reati di cui quest’uomo è accusato e della complicità prestata, oltre che della consapevolezza riguardo ai fatti, da parte dell’ambiente che lo circondava.
[da pagina 1761 secondo capoverso]
Gli elementi probatori emersi dall’indagine dibattimentale espletata
hanno consentito di fare luce:
sulla posizione assunta da Marcello Dell’Utri nei confronti di esponenti
di “cosa nostra”, sui contatti diretti e personali con alcuni di essi (Bontate,
Teresi, oltre a Mangano e Cinà),
sul ruolo ricoperto dallo stesso
nell’attività di costante mediazione, con il coordinamento di Cinà Gaetano,
tra quel sodalizio criminoso, il più pericoloso e sanguinario nel panorama
delle organizzazioni criminali operanti al mondo, e gli ambienti
imprenditoriali e finanziari milanesi con particolare riguardo al gruppo
FININVEST;
sulla funzione di “garanzia” svolta nei confronti di Silvio Berlusconi, il
quale temeva che i suoi familiari fossero oggetto di sequestri di persona,
adoperandosi per l’assunzione di Vittorio Mangano presso la villa di
Arcore dello stesso Berlusconi, quale “responsabile” (o “fattore” o
“soprastante” che dir si voglia) e non come mero “stalliere”, pur
conoscendo lo spessore delinquenziale dello stesso Mangano sin dai tempi
di Palermo (ed, anzi, proprio per tale sua “qualità”), ottenendo l’avallo
compiaciuto di Stefano Bontate e Teresi Girolamo, all’epoca due degli
“uomini d’onore” più importanti di “cosa nostra” a Palermo;
sugli ulteriori rapporti dell’imputato con “cosa nostra”, favoriti, in alcuni
casi, dalla fattiva opera di intermediazione di Cinà Gaetano, protrattisi per
circa un trentennio nel corso del quale Marcello Dell’Utri ha continuato
l’amichevole relazione sia con il Cinà che con il Mangano, nel frattempo
assurto alla guida dell’importante mandamento palermitano di Porta
Nuova, palesando allo stesso una disponibilità non meramente fittizia,
incontrandolo ripetutamente nel corso del tempo, consentendo, anche
grazie a Cinà, che “cosa nostra” percepisse lauti guadagni a titolo estorsivo
dall’azienda milanese facente capo a Silvio Berlusconi, intervenendo nei
momenti di crisi tra l’organizzazione mafiosa ed il gruppo FININVEST
(come nella vicenda relativa agli attentati ai magazzini della Standa di
Catania e dintorni), chiedendo al Mangano ed ottenendo favori dallo stesso
(come nella “vicenda Garraffa”) e promettendo appoggio in campo politico
e giudiziario.
Queste condotte sono rimaste pienamente ed inconfutabilmente provate
da fatti, episodi, testimonianze, intercettazioni telefoniche ed ambientali di
conversazioni tra lo stesso Dell’Utri e Silvio Berlusconi, Vittorio
Mangano, Gaetano Cinà ed anche da dichiarazioni di collaboratori di
giustizia; la pluralità dell’attività posta in essere, per la rilevanza causale
espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e
prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di
“cosa nostra” alla quale è stata, tra l’altro, offerta l’opportunità, sempre con
la mediazione di Marcello Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti
ambienti dell’economia e della finanza, così agevolandola nel
perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che, lato
sensu, politici.
Non c’è dubbio alcuno, alla luce delle considerazioni che precedono e di
tutto quanto oggetto di analisi nei singoli capitoli ai quali si rinvia, che le
condotte tenute dai prevenuti si sussumono nelle fattispecie previste e
sanzionate dagli artt. 416 e 416 bis c.p. delle quali ricorrono tutti gli
elementi costitutivi.
Ma ricorrono, anche, le contestate aggravanti di cui ai commi 4° e 6°
dell’art. 416 bis c.p.
Ed invero, la sussistenza di tali aggravanti va ritenuta qualora il reato de
quo sia contestato agli appartenenti ad una “famiglia” aderente a “cosa
nostra” od al concorrente esterno, in quanto l’esperienza storica e
giudiziaria consentono di ritenere il carattere armato di detta
organizzazione criminale (Cass. 14.12.99, D’Ambrogio, CP 01,845) e la
sua prerogativa di operare nel campo economico utilizzando ed investendo
i profitti di delitti che tipicamente pone in essere in esecuzione del divisato
programma criminoso (Cass. 28.1.00, Oliveti, CED 215908, CP 01, 844).
TRATTAMENTO SANZIONATORIO
Per quanto attiene alla determinazione della pena, tenuti presenti i
parametri ed i criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p., le condotte di Gaetano
Cinà, consapevoli e reiterate nel tempo, devono essere sanzionate con una
pena che il Collegio ritiene congruo quantificare in anni sette di reclusione,
in considerazione della continuità del suo apporto a “cosa nostra”, alla
quale è stato organico nei termini sopra evidenziati, dell’importante
risultato, economico e non, conseguito dall’organizzazione, grazie alla sua
costante disponibilità, consistita nel coltivare il suo rapporto di amicizia
con Marcello Dell’Utri anche in una dimensione illecita e funzionale alle
richieste ed esigenze degli uomini d’onore della “famiglia” di riferimento e
dei capi del sodalizio.
(pena così determinata:, anni sei, mesi sei di reclusione per il reato di cui
all’art. 416 bis c.p. aggravato, aumentata di mesi sei di reclusione ex art. 81
c.p.
Per quanto attiene a Marcello Dell’Utri, la pena deve essere ancora più
severa e deve essere determinata in anni nove di reclusione, dovendosi
negativamente apprezzare la circostanza che l’imputato ha voluto
mantenere vivo per circa trent’anni il suo rapporto con l’organizzazione
mafiosa (sopravvissuto anche alle stragi del 1992 e 1993, quando i
tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla
“vendetta” di “cosa nostra”) e ciò nonostante il mutare della coscienza
sociale di fronte al fenomeno mafioso nel suo complesso e pur avendo, a
motivo delle sue condizioni personali, sociali, culturali ed economiche,
tutte le possibilità concrete per distaccarsene e per rifiutare ogni
qualsivoglia richiesta da parte dei soggetti intranei o vicini a “cosa nostra”.
Si ricordi, sotto questo profilo, anche l’indubitabile vantaggio di essersi
allontanato dalla Sicilia fin dagli anni giovanili e di avere impiantato
altrove tutta la sua attività professionale.
Ancora, deve essere negativamente apprezzata la già sottolineata
importanza del suo consapevole contributo a “cosa nostra”, reiteratamente
prestato con diverse modalità, a seconda delle esigenze del momento ed in
relazione ai singoli episodi esaminati nei precedenti capitoli.
Inoltre, il Collegio ritiene assai grave la condotta tenuta dall’imputato nel
corso del processo, avuto riguardo al tentativo di inquinamento delle prove
a suo carico, così come risulta dimostrato dalla disamina della vicenda
“Cirfeta-Chiofalo”, come pure la circostanza che egli, contando sulla sua
amicizia con Vittorio Mangano, gli abbia chiesto favori in relazione alla
sua attività imprenditoriale, come emerge dall’analisi della vicenda
“Garraffa”.
Infine, si connota negativamente la sua disponibilità verso
l’organizzazione mafiosa attinente al campo della politica, in un periodo
storico in cui “cosa nostra” aveva dimostrato la sua efferatezza criminale
attraverso la commissione di stragi gravissime, espressioni di un disegno
eversivo contro lo Stato, e, inoltre, quando la sua figura di uomo pubblico
e le responsabilità connesse agli incarichi istituzionali assunti, avrebbero
dovuto imporgli ancora maggiore accortezza e rigore morale, inducendolo
ad evitare ogni contaminazione con quell’ambiente mafioso le cui
dinamiche egli conosceva assai bene per tutta la storia pregressa legata
all’esercizio delle sue attività manageriali di alto livello.
(pena così determinata: anni otto e mesi sei di reclusione per il reato
aggravato di cui all’art. 416 bis c.p., elevata di mesi sei di reclusione per
art. 81 c.p.).
I due imputati vanno condannati, altresì, al pagamento in solido delle
spese processuali ed il Cinà Gaetano anche a quelle del suo
mantenimento in carcere durante la custodia cautelare, nonchè entrambi
vanno dichiarati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici ed in stato di
interdizione legale durante l’esecuzione della pena.
Alla condanna consegue per legge e, in ogni caso, anche in relazione
all’intrinseca pericolosità desunta dalle considerazioni che precedono,
l’applicazione a ciascuno degli imputati della misura di sicurezza della
libertà vigilata per la durata di anni due (tenuta presente la gravità dei reati
contestati), da eseguirsi dopo che la pena è stata scontata o è altrimenti
estinta.
Infine, entrambi gli imputati vanno condannati in solido:
al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore delle
costituite parti civili, Provincia Regionale di Palermo e Comune di
Palermo, rigettando le richieste di pagamento di provvisionali
immediatamente esecutive;
al pagamento delle spese processuali sostenute dalle medesime parti
civili che si liquidano in complessivi euro ventimila per il Comune di
Palermo ed euro cinquantamila per la Provincia di Palermo, somme
comprensive di onorari e spese.
In considerazione della particolare complessità della stesura della
motivazione, dovuta alla gravità delle imputazioni ed alla notevolissima
mole degli atti processuali acquisiti, si indica in novanta giorni il termine
per il deposito della sentenza.
DICHIARA
DELL’UTRI MARCELLO e CINA’ GAETANO colpevoli dei reati loro
rispettivamente contestati e, ritenuta la continuazione tra gli stessi,
CONDANNA
DELL’UTRI MARCELLO alla pena di anni nove di reclusione e CINA’
GAETANO alla pena di anni sette di reclusione ed entrambi, in solido, al
pagamento delle spese processuali, nonché il CINA’ anche a quelle del
proprio mantenimento in carcere durante la custodia cautelare.
Visti gli artt. 28, 29,32 e 417 c.p.,
DICHIARA
Entrambi gli imputati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici, nonché in
stato di interdizione legale durante l’esecuzione della pena.
APPLICA
A ciascuno degli imputati la misura di sicurezza della libertà vigilata per
la durata di anni due, da eseguirsi a pena espiata.
Visti gli artt. 539 e 541 c.p.p.,
CONDANNA
Entrambi gli imputati in solido al risarcimento dei danni in favore delle
costituite parti civili, Provincia Regionale di Palermo e Comune di
Palermo, da liquidarsi in separato giudizio, rigettando le richieste di
pagamento di provvisionali immediatamente esecutive.
Condanna, infine, gli imputati in solido al pagamento delle spese
sostenute dalle medesime parti civili che liquida in complessivi euro
ventimila per il Comune di Palermo ed euro cinquantamila per la Provincia
Regionale di Palermo, somme comprensive di onorari e spese.
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