domenica 13 settembre 2009

L'unica cosa da fare per cambiare l'Italia

dal blog di Antonio Di Pietro, un commento sulle ultime dichiarazioni di Berlusconi, Schifani e Bossi sui PM antimafia

11 Settembre 2009
Un copione gia' visto
Cosa sta accadendo sulla vicenda delle stragi degli anni '90?
Perche' il Presidente del Consiglio e' così preoccupato per la riapertura dei fascicoli delle procure di Palermo, Milano e Firenze?
Forse conosce già gli esiti a cui porterebbero nuove indagini e, forse, sa quello che Spatuzza e Ciancimino hanno da dire.
E’ consapevole che le loro dichiarazioni sarebbero la combinazione di una cassaforte al cui interno si troverebbe il volto di quei mandanti di cui si è sempre parlato.
Io ritengo che la riapertura dei fascicoli delle stragi degli anni ‘90 stiano seguendo il copione tipico delle vicende di mafia con implicazioni politiche.
La storia d’Italia questo copione lo conosce e, i signori Spatuzza e Ciancimino sono metaforicamente nei panni dei nuovi Buscetta che, ai tempi, con le loro rivelazioni, aprirono nuovi scenari.
Ma qui mancano ancora i mandanti che sono sul punto di essere smascherati.
Mandanti ignoti ma che fanno così paura al Presidente del Consiglio da spingerlo a dire: “Con queste nuove indagini si buttano i soldi dei contribuenti”. Così paura da far intervenire il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a far da paciere con l’Anm e da far sostenere al Presidente del Senato, Renato Schifani: “Mi piace di più quando la magistratura si occupa del contrasto diretto e senza quartiere alla mafia”, senza cercare i mandanti politici, aggiungo io.
Coloro che hanno dato una chiara interpretazione dei fatti sono il giornalista Lirio Abbate, ieri a ‘Linea Notte’ di RaiTre, in un’intervista che riporto in questo articolo, e Umberto Bossi quando afferma: "C'è la mafia dietro gli attacchi al governo". E’ vero, signor Bossi, c’è la mafia in gattabuia che si è rivoltata contro i suoi mandanti a piede libero.
Se la giustizia fosse riformata, così come la propone la nostra alternativa di governo, probabilmente questi mandanti avrebbero già un volto e l’Italia sarebbe un Paese diverso.
L’Italia dei Valori sta già guardando al dopo Berlusconi, ad un’alternativa credibile di governo che possa dar vita ad una terza Repubblica, che possa far piazza pulita delle solite facce che ammorbano la politica da mezzo secolo ed oltre.
Riporto di seguito gli obiettivi dell’Italia dei Valori in tema di Giustizia, venti proposte serie ed efficaci che questo governo equiparerebbe a scorie radioattive da cui tenersi ben lontani per sopravvivere:

  • Semplificare il processo civile prevedendo ampie possibilità conciliatorie e ampliamento dei poteri d’ufficio del Giudice, con l’obiettivo di completare ogni singolo grado di giudizio nell’arco di un anno.
  • Prevedere la figura del giudice monocratico per i processi civili di appello
  • Eliminare nel settore civile ed in quello penale le norme che introducono inutili formalismi che rendono sempre più lontana nel tempo la decisione.
  • Prevedere filtri per i ricorsi in Cassazione
  • Individuare pene certe e processi penali più rapidi con possibilità di applicazione della pena dopo il secondo grado di giudizio
  • Stabilire la sospensione della prescrizione dei reati dopo il rinvio a giudizio

La mafia parla, lo Stato tace

Importante articolo di Marco Travaglio, pubblicato il 20 Luglio su L'Unità (Ora d'aria)

Ora che ne parla persino Totò Riina (a Bolzoni e Viviano, su la Repubblica di ieri), forse è il caso che anche i rappresentanti dello Stato dicano qualcosa sulle stragi del 1992-’93 e sulle trattative retrostanti. Dal 1996 sappiamo da Giovanni Brusca, poi confermato dagli interessati e da Massimo Ciancimino, che due ufficiali del Ros dei Carabinieri, il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, dopo la strage di Capaci andarono a “trattare” con Vito Ciancimino e, tramite lui, con i capi di Cosa Nostra: lo stesso Riina e Bernardo Provenzano. Sappiamo che Borsellino, dopo la morte dell’amico Giovanni Falcone, ingaggiò una forsennata lotta contro il tempo per individuare i mandanti di Capaci, e mentre interrogava uno dei primi pentiti, Gasparre Mutolo, fu convocato d’urgenza al Viminale dove si era appena insediato il ministro Nicola Mancino, poi tornò da Mutolo letteralmente sconvolto. Pochi giorno dopo, saltò in aria anche lui in via D’Amelio. Dopodichè la trattativa del Ros con Ciancimino e i corleonesi proseguì, tant’è che i secondi fecero pervenire ai due ufficiali un “papello” con le richieste della mafia per interrompere le stragi.Ora, dal racconto di Ciancimino jr., apprendiamo che suo padre ricevette tre lettere di Provenzano indirizzate a Silvio Berlusconi: una all’inizio del 1992, prima delle stragi; una nel dicembre ‘92, dopo Capaci e via d’Amelio e prima delle bombe di Roma (via Fauro, contro Costanzo), Firenze, Milano e Roma (basiliche); una nel 1994, dopo la discesa in campo del Cavaliere, non a caso chiamato “onorevole”.Nell’ultima lo Zu’ Binnu prometteva all’attuale presidente del Consiglio, che aveva appena fondato Forza Italia e vinto le elezioni, un sostanzioso “appoggio politico” in cambio della disponibilità di una delle sue reti tv, guardacaso protagoniste nei mesi successivi di feroci campagne contro i magistrati antimafia e in difesa di imputati eccellenti nei processi su mafia e politica. Sappiamo infine che nei momenti topici delle stragi si agitavano misteriosi soggetti dei servizi segreti, tra i quali uno col volto mostruosamente sfregiato. Ci stanno lavorando le Procure di Palermo e Caltanissetta, accerchiate dal silenzio tombale della politica e delle istituzioni. Eppure i protagonisti e comprimari di quella stagione dalla parte dello Stato sono vivi e vegeti, anzi han fatto carriera. Mancino, indicato da Brusca e Massimo Ciancimino come al corrente della trattativa, nega di aver mai visto o riconosciuto Borsellino nel fatidico incontro al Viminale, ed è vicepresidente del Csm. Mori - imputato di favoreggiamento mafioso per la mancata cattura di Provenzano nel 1996 dopo essere stato assolto con motivazioni severe dall’accusa di aver favorito la mafia non perquisendo il covo di Riina dopo la sua cattura - è stato a lungo comandante del Sisde e ora è consulente per la sicurezza del sindaco Alemanno. Gli ex procuratori di Palermo, Grasso e Pignatone, che nel 2005 trovarono a casa Ciancimino l’ultima lettera di Provenzano a Berlusconi e non ne fecero un bel nulla, sono rispettivamente procuratore nazionale antimafia e procuratore di Reggio Calabria. Ci raccontano qualcosa, per favore?

Il piduista ed i magistrati che indagano sulle stragi

Articolo di Luigi de Magistris pubblicato l'8 Settembre su l'Unità

Il Presidente del Consiglio, il piduista Berlusconi, ha affermato, con toni minacciosi ed inaccettabili per uno Stato di diritto, che vi sono magistrati di talune Procure della Repubblica che indagano sulle stragi di mafia cospirando e congiurando ai suoi danni. Le Istituzioni - quelle non ancora corrose dal crimine organizzato - e la parte sana della società civile non possono accettare intimidazioni di questo genere.
Attendiamo con speranza - sin dalle stragi di Capaci e di via D´Amelio - che venga scoperta tutta la verità sugli omicidi Falcone e Borsellino; vogliamo sapere perché la mafia ramificò la strategia della tensione militare piazzando bombe a Roma, Firenze e Milano; aspettiamo di sapere se pezzi deviati delle Istituzioni - che ancora operano nel Paese in continuità con una P2 mai morta ed anzi sempre più forte - trattarono con Cosa Nostra; vogliamo capire se esiste un rapporto tra la fine della strategia militare della mafia e la discesa in politica, da vincenti, di Dell`Utri, Berlusconi e della stessa nascita del partito di Forza Italia; chiediamo a gran voce di individuare coloro i quali hanno sottratto l´agenda rossa di Paolo Borsellino; intendiamo sapere chi ha favorito in questi anni l´istituzionalizzazione della mafia con il consolidamento della sua penetrazione nell´economia e nello Stato. Ed allora veniamo al punto: perchè Berlusconi minaccia i magistrati che stanno investigando svolgendo indagini difficili e pericolose? Ha in mente, forse, di creare le condizioni per isolare servitori dello Stato e magari per favorire l´intervento di menti istituzionali raffinatissime? Invia messaggi a qualcuno? Non so che cosa accadrà nel futuro - sulla mia pelle ho visto realizzarsi melmosi intrecci istituzionali mai visti e sentiti e forse nemmeno immaginati - ma so per certo che vigileremo in tantissimi affinchè non sia esercitata nessuna interferenza illecita che ostacoli il lavoro dei magistrati e delle forze dell´ordine e impedisca agli italiani di conoscere la verità, fosse pure una verità terribile e inquietante, forse la verità che ci farà capire perchè un ampio manipolo di golpisti con il grembiulino intende sovvertire le Istituzioni Repubblicane.

venerdì 4 settembre 2009

Agenda rossa: nuova manifestazione il 26 settembre 2009 a Roma

Agenda rossa, il fratello di Borsellino scende in piazza
Articolo di Benny Calasanzio (l'AnteFatto, 3 settembre 2009)
«Tremate tremate, le agende rosse sono tornate». Si alza forte il brusio del popolo del web, che pian piano risponde massicciamente all’appello «Resistenza». Dopo quella del 19 luglio in via D’Amelio, un’altra manifestazione con al centro l’agenda rossa «rubata» di Paolo Borsellino è già in cantiere. A darne notizia è Salvatore, fratello del giudice, che da anni si scaglia contro le istituzioni coinvolte nella trattativa stato-mafia che portò alla morte dell’unico ostacolo alla patto: quello stesso Paolo Borsellino che scrisse sulla sua seconda agenda, quella grigia, di aver incontrato Mancino il primo luglio del 1992, il giorno del suo insediamento come ministro dell’Interno e 18 giorni prima di morire.
«Lì a mio fratello venne proposta la trattativa con i boss e lui l’avrà rifiutata in maniera schifata. Oltre a Mancino, che continua a negare dando implicitamente del bugiardo a mio fratello, c’era anche Bruno Contrada, che poco prima il pentito interrogato da Paolo, Gaspare Mutolo, aveva additato come colluso con cosa nostra» ha detto Salvatore Borsellino.
Già il 19 luglio scorso, nel budello d’asfalto in cui era stato ucciso nel 1992 il procuratore aggiunto di Palermo assieme agli agenti di scorta Loi, Catalano, Li Muli, Cosina e Traina, l’ingegnere che vive ad Arese ormai da 40 anni era riuscito tramite il web e i social network a richiamare centinaia di persone da tutta Italia per una tre giorni all’insegna non delle lacrime, bensì della «rabbia costruttiva».
Manifestazione, quella del 19 luglio, disertata quasi completamente dalla gente di Palermo, boicottata ormai ufficialmente dalle grandi associazioni antimafia e soprattutto dai media, se si esclude Enrica Maio del Gr Rai e Silvia Resta di La7. Ora Borsellino torna a suonare la carica: il 26 settembre sarà la volta della capitale. Alle 14 il corteo si riunirà in piazza della Repubblica (Esedra) e da lì il corteo concluderà il suo corso in piazza Barberini. La marcia sarebbe dovuta passare dapprima davanti la sede del Consiglio Superiore della Magistratura, per ossimoro ubicata in Piazza Indipendenza, e poi al Quirinale, la sede della presidenza della Repubblica; a causa del protocollo sulla sicurezza che vige sulle manifestazioni romane, al Quirinale si potrà recare solo una delegazione di una cinquantina di persone. «Questa manifestazione è la continuazione ideale di quella che abbiamo fatto il 20 luglio davanti al palazzo di Giustizia di Palermo in sostegno di quei magistrati che, a rischio della propria vita, stanno combattendo per arrivare alla Verità sulle stragi del 92 e del 93. Non dobbiamo dare tregua agli assassini ed ai loro complici. Mobilitiamoci tutti, ognuno di noi si impegni a far venire quante altre persone può, in una catena che non deve avere fine. Adesso hanno paura e si stanno muovendo, cominciano a muovere le loro pedine, Rutelli, Violante, il Pg di Caltanissetta Barcellona; noi dobbiamo agire più rapidamente di loro, impedire che fermino Sergio Lari, Antonio Ingroia, Nino Di Matteo. Non lasciamoli soli, impediamo che chiudano la bocca a Massimo Ciancimino, che si muova il CSM, facciamogli capire che dovranno passare sui nostri corpi, che dopo 17 anni non ci lasceremo strappare ancora una volta la verità. Il 19 luglio in via d'Amelio abbiamo fatto scoccare la scintilla, ora è necessario l'incendio» ha spiegato il fratello del giudice che terrà aggiornati i partecipanti tramite il suo sito, http://www.19luglio1992.com/.